Payday

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In una recensione del 1975, a meno di due anni dall'uscita del film nelle sale americane, il critico Rogert Ebert si chiedeva perché Payday, dopo aver ricevuto alcune recensioni molto positive nel 1973, non ebbe mai, inspiegabilmente, un'adeguata distribuzione nazionale.
Sarebbe interessante sapere cosa ne pensava al riguardo il produttore del film, quel Saul Zaents che il New York Times avrebbe definito nel 1995 "l'ultimo dei grandi produttori indipendenti americani". Dopo Payday, sua prima produzione cinematografica dopo anni trascorsi nell'ambiente discografico, Zaents produrrà alcuni grandi film del cinema americano, da Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975) a Amadeus  (1984), vincendo addirittura tre Oscar. Prima dei grandi successi, il percorso cinematografico di Zaents iniziò proprio con questo oggetto misterioso affidato alla regia di Daryl Duke, anche lui all'esordio nella regia di un lungometraggio dopo anni di esperienza televisiva. Payday racconta due giornate nella vita di Maury Dann, cantante country dal carattere violento e dispotico, in viaggio attraverso l'Alabama a bordo di una Cadillac assieme all'autista Chicago, alla compagna Mayleen, al manager McGinty e alla giovane groupie Rosamond.

Vero e proprio capolavoro dimenticato del cinema americano anni '70,
Payday può contare sulla eccezionale sceneggiatura di Don Carpenter, un testo solo in apparenza semplice e lineare, in realtà ricco di elementi estremamente originali, e sulla regia di Daryl Duke che riesce a catturare le mille sfumature della sceneggiatura, a ribaltare in modo a tratti geniale numerosi stereotipi del cinema on the road americano e a costruire sequenze dal grande impatto visivo. Memorabile inoltre la prova di Rip Torn, probabilmente una delle più sottovalutate all'interno del cinema americano di quel periodo.

Il grande scrittore americano Don Carpenter scrive una storia che assomiglia a un
on the road classico ma che in realtà sfida gli stereotipi del genere grazie all'inserimento di elementi nuovi e sorprendenti. Essi conferiscono alla storia una maggiore complessità, alimentano la curiosità dello spettatore e creano una forte tensione drammatica. Si pensi, per esempio, alla scena in cui Maury ha un rapporto sessuale con Rosamond, la giovane groupie, all'interno dell'automobile. In questo caso l'elemento nuovo, discordante, è dato dalla presenza all'interno della Cadillac di Mayleen, la compagna di Maury che, seduta al suo fianco, assiste incredula al tradimento subìto davanti ai propri occhi. 
In un'altra sequenza, quella in cui Maury va a far visita alla ex moglie, la sceneggiatura di Carpenter si sofferma non tanto su quanto accade in casa tra Maury e la donna, quanto piuttosto sul bizzarro dialogo tra i due amici che lo attendono in macchina. L'autista di nome Chicago racconta alla giovane Rosamond la ricetta per cucinare correttamente una omelette, con tanto di consigli sul tipo di padella da utilizzare. L'uso di dialoghi stranianti come quello appena citato, nel quale i personaggi si soffermano lungamente su un argomento totalmente estraneo alla vicenda, è tipico di molto cinema indipendente successivo (da Jarmusch a Tarantino) e sottolinea il lato fortemente anticipatore e avanguardista di
Payday. Questa sequenza resta miracolosamente in equilibrio tra l'ironia del dialogo, il tono velatamente surreale della situazione e la suspense generata dalla sensazione che qualcosa di pericoloso possa accadere (in fondo nemmeno Chicago è un tipo rassicurante). Altra sequenza molto originale è quella dell'omicidio, laddove il climax scaturito dall'accoltellamento viene presto superato da un dramma ulteriore, rappresentato dal terribile tradimento compiuto da Maury ai danni di Chicago.

Payday è un film sorprendente anche da un punto di vista estetico. Basti pensare alla potenza visiva di alcune sequenze come quella della caccia, oppure alla struggente inquadratura finale. Al contrario di quanto accade in molti on the road americani, il regista Daryl Duke sceglie di non soffermarsi sul paesaggio circostante e preferisce piuttosto raccontare quello che succede all'interno dell'abitacolo. Poche inquadrature in campo lungo e molti primi piani sui volti dei protagonisti: il risultato è una sorta di on the road claustrofobico, quasi carcerario, nel quale l'automobile non è più uno strumento di libertà ma diventa al contrario il simbolo dell'oppressione compiuta da Maury verso chi gli sta al fianco.

Nel ruolo di un uomo egoista e privo della benché minima empatia verso gli altri, Rip Torn trova qui l'interpretazione della vita. Una prova ricca di sfumature nella quale alterna con grande abilità ghigni malefici degni del miglior Nicholson a momenti più minimalisti, recitati quasi in sottrazione. In un ruolo di grande presenza scenica, Torn dà vita a un personaggio, quello di Maury, che diventa metafora del mito in cui l'America non crede più. Gli anni '60 sono finiti, la leggenda ha tolto la maschera e si rivela per quello che è. Restano solo i corpi feriti di chi ha cercato in tutti i modi di inseguirla.
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